martedì, ottobre 19, 2010

Come mosche nella rete...


Con tre giorni di ritardo ho deciso di raccontarvi la magnifica esperienza vissuta sabato al Palazzo Reale di Milano: ho incontrato forse il più grande Traditional Revolutioner ch la storia annoveri tra le sue fila: Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí Domènech, marchese di Púbol. Una mostra in programma fino al 30 Gennaio 2011 dà la possibilità di incontrare il mitico e poliedrico artista, lontano dal clamore che i suoi dipinti leggendari hanno creato, tra pezzi selezionati e accuratamente studiati per comunicare il senso più profondo dell' opera daliniana, e magari scambiarci due chiacchiere sul senso dell' umana esistenza, e sulle sue personalissime visioni della vita, perchè no, accomodandosi nel salotto buono, anzi, decisamente di rappresentanza: addirittura il volto della bellissima Mae West, comodamente reclinati sulle meravigliose labbra dell' attrice. In questo continuo succedersi di suggestioni, di immagini, di impressioni, spesso soffocanti (a mio parere la grandezza assoluta di Dalì, è riuscire a comunicare l' impressione di essere braccati anche nel piu desolante vuoto e silenzio dei suoi dipinti), passeggiando, ma più spesso correndo terrorizzati (l' acuto quanto amaro piacere del dolore cerebrale sublimato dai paesaggi lunari, calmi fino all' esasperazione, ma che sai, da un momento all' altro, potrebbero esplodere in una moltitudine di lingue di fuoco, dissolvenze inquietanti, animali feroci, giraffe e pesci in fiamme...) tra i capolavori esposti, soffermandosi doverosamente sull' entusiasmante "Mattino, mezzogiorno, sera" e lasciando le sue seicentesche contadine tra i loro puntini, senza poter fare a meno di voltarsi per controllare che una di loro, o magari l' Infanta di Spagna incorniciata poco più a destra, non ci stiano seguendo nel lunare paesaggio "Tavolino su Spiaggia". E mentre, preoccupati per una tale (probabilissima, al cospetto di Dalì) evenienza, ci si perde a pensare sul parallelismo, con cambio di prospettiva ma non di occhio, con il Giorno di pariniana memoria, si è già cambiato ambiente, e dalle asimmetrie pastello e fluo delle Stanze dei Sogni, si è entrati nel rassicurante Blu Reale e Oro della Stanza del Silenzio, dove tutto è perfettamente simmetrico, e le dissonanze oniriche , scompaiono, in un' eco lontana di swing, commentatori dell' Istituto Luce e possenti sinfonie, colonne sonore non già dei molti documenti video presentati, ma soprattutto delle lunghe traversate nel sogno che ci hanno regalato. Dopo una tormentata passeggiata in piazzali e cortili che richiamano De Chirico, ma quasi sussurrando, che l' irreale equilibrio instauratosi non  crolli in mille esplosioni, si approda all' ultima stanza, che tuttavia trascende tutti i canoni dell' "ultima stanza" di una qualsiasi mostra: si propone come naturale continuazione, del sogno, della riflessione, della meditazione, perchè è vero che, anche se non si può fare a meno di sorriderne, tutti almeno una volta nella vita ci siamo soffermati sul fatto che "l' unica efficacia nella vita degli uomini è ricondursi allo spazio intrauterino, per le donne, è l' usurpazione, e la reclamazione della dimensione dessssosssssiribonucleica".... Completely Traditonal Revolution!




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